Intervista a Fabio Attanasio, influencer ed imprenditore d’altri tempi nell’era digitale
Una lunga chiacchierata ed una piacevole scoperta. Un ragazzo composto, educato, piacevole. Un ragazzo che sa cosa vuole o meglio ha saputo cosa voleva e lo ha trasformato in realtà. Una realtà sempre in divenire, ammaliante per molti dei suoi seguaci. Più di 200k su Instagram. Un numero destinato a crescere sotto un’unica bandiera: Il buon vivere e vestire italiano. Non potevo che incontrarlo, intervistarlo e raccontarlo a voi. Scopri l’intervista a Fabio Attanasio cliccando il pulsante in basso Avanti >
V. Fabio. La prima domanda che mi viene in mente è: chi è Fabio Attanasio?
F. Uno a cui piace raccontare storie, che in un’altra vita avrebbe fatto il giornalista probabilmente, ma che dati i tempi si è adeguato e ha deciso di sfruttare questa sua passione per l’artigianato e il Made in Italy attraverso un mezzo diverso da quello che è il classico magazine ma, come tu mi insegni, attraverso un sito o dei social che mi permettono appunto di raccontare. Quello è il senso principale della mia attività: raccontare di The Bespoke Dudes, una community virtuale di appassionati per temi come la qualità e l’artigianato.
V. Quando è nato questo tuo progetto e quali storie in particolare ti piace raccontare?
F. È nato il 5 marzo 2012. Mi piace raccontare storie che abbiano a che fare con il mondo dell’artigianato, dell’eleganza classica, del made in Italy e non solo: il mondo della sartoria, del classico maschile nell’abbigliamento, da uno champagne ad un’automobile. Diciamo che sono i piaceri dell’uomo. Io voglio raccontare perché qualcosa costa di più di un’altra; non mi piace perché costa, ma perché c’è qualità. Poi il fatto che costi è una conseguenza.
V.Come è nata l’idea di The Bespoke Dudes? Te lo ricordi quel 5 marzo?
F. Mi ricordo tutto quello che c’è stato prima del 5 marzo che era appunto la mia esperienza in Bocconi… Ecco a 19 anni mi sono trasferito a Milano e ho iniziato a studiare Giurisprudenza in Bocconi perché credevo di voler fare l’avvocato o il magistrato. In realtà non avevo una passione per la materia, non avevo la vocazione per il diritto, ma non ero consapevole di questa mia discrepanza interiore. La sovrastruttura era convinta di voler fare qualcosa, ma l’anima voleva altro. Questo contrasto si manifestava attraverso uno stress nello studio. Io sono sempre stato abbastanza severo con me stesso e soffrivo proprio nello studio del diritto, che trovavo – passami il termine – una sorta di “violenza” alla mia anima benché mi interessasse e mi affascinasse il linguaggio giuridico, perché mi piacciono le parole. Lo studio del diritto richiede una mente che io ammiro; una mente che riesce ad assimilare un sistema con metodicità. Io dico sempre che sono tondo e che invece la facoltà di giurisprudenza richiede qualcuno veramente più quadrato. Non ho un metodo, mai avuto un metodo. Mi sentivo uno molto più creativo da questo punto di vista ma non ero consapevole di questo mio lato creativo perché le scuole non ti insegnano a sviluppare questo carattere. Mi piace quella frase che dice: “Se tu dici a un pesce di scalare la montagna il pesce si sentirà fallito” perché non può assolvere quella funzione. Un giorno decido di partire. Galeotto è stato un viaggio nel 2011 a Buenos Aires per studiare un semestre alla UBA – Universidad de Buenos Aires. L’aneddoto che racconto spesso parla di un pomeriggio in cui studiavo diritto ambientale con una collega. Mi ricordo di tutte quelle normative che non mi entravano in testa. E mentre lei studiava io invece visitavo The Sartorialist, Jack & Gill e altri… tutto quel mondo dello streetstyle di Pitti Uomo in particolare. Ero arrivato a una cartella dei Preferiti sul computer che contava 100 indirizzi, una lista eccessiva con una cartella anche solo sull’Hard Disk in cui accumulavo tutte le immagini che mi interessavano. Lei mi ha chiesto “Perché non apri il tuo sito” e la mia reazione fu “Ma ti pare, io sarò un avvocato”.
Quella, se io dovessi tornare indietro e collegare i puntini, è stata la prima volta che qualcuno mi ha messo la pulce nell’orecchio e mi ha fatto notare che potesse esistere per me un’alternativa al mondo del diritto. E così torno in Italia nel 2011 e il 5 marzo 2012 apro questo sito. Mi laureo nel 2013 e mi dedico a questo progetto. Ho avuto sempre la fortuna di essere stato il primo sito in Italia che parlava di sarti. Nel 2012 la gente non sapeva nemmeno cosa fosse il Bespoke o comunque non era così comune come adesso. L’imprinting sicuramente c’era già in famiglia per via di mio padre che vedevo sempre in giacca e cravatta. E poi ho sempre avuto la mia seconda università cioè mi sono preso una laurea da solo nel senso andando in giro per sartorie quindi spontaneamente di tasca mia. Io andavo, viaggiavo, portavo un fotografo che era un mio compagno di classe andavamo in giro a bussare alla porta delle sartorie. La prima è stata paradossalmente a Milano, Nicoletta Caraceni, la figlia di Ferdinando Caraceni, e lì ebbi una visione. Mi ricordo di essere entrato in questa sala in cui c’era un muro pieno di tessuti e ne ho voluto sapere di più. Così ho iniziato ad andare in giro, Milano, Firenze, Roma, Napoli, Puglia, Sicilia e Sardegna. Sono andato a New York, a Londra, a Parigi, a Varsavia. All’inizio pagavo tutto di tasca mia e poi insomma sono arrivati i primi contratti. Ma questo è uno step successivo. Il mondo dell’artigianato mi affascinava sempre di più. Mi sedevo nella loro bottega e all’inizio c’erano delle reticenze. Erano un po’ riluttanti perché non ero un giornalista, e magari temevano che io potessi essere un futuro competitor. Poi capivano che in realtà ero interessato solo a raccontare la loro storia e quindi ho avuto delle esperienze fantastiche. Sono andato in giro per botteghe dei Quartieri Spagnoli della mia Napoli, in posti affascinanti e assurdi che magari mai avrei avuto modo di scoprire se non fosse stato per il mio lavoro e per questa mia passione. Continua a leggere cliccando il pulsante in basso Avanti >
V. Nel momento in cui ti laurei nel 2013, sai già qual è la tua strada. Era passato un anno da quando avevi aperto il sito.
F. Sì. E io lì ho rischiato, perché per i primi tre anni il progetto non è stato assolutamente profittevole. E se non avessi avuto veramente una passione questa cosa sarebbe svanita. Invece di mettermi a fare il praticante infelice in uno studio ho preferito dedicarmi totalmente anima e corpo a questo progetto che poi cominciò a diventare profittevole.
V. Vorrei soffermarmi su quello che hai appena detto, su questi due-tre anni di non redditività. Vorrei raccontasse un momento di sconforto e come ne sei venuto fuori.
F. Ce ne sono stati tanti. Uno emblematico è una cena, una cena stampa di un brand. Questo aneddoto ha a che fare con il fastidio che la figura dell’ influencer provoca nei giornalisti editori della carta stampata classica. Eravamo ospiti di questo marchio in una cena. Io ero l’unico non-giornalista. Ma c’erano giornalisti da Monsieur, Francia Vogue, GQ Russia. C’era anche un giornalista italiano di una celebre rivista italiana. Quando iniziarono le presentazioni c’era il responsabile del brand che disse che ero un blogger. Il giornalista disse in inglese: “I hate bloggers. Perchè voi blogger create solo confusione nel mercato”. Poi lì ho capito che era un buon segno. Si stava muovendo qualcosa. Perché la figura dell’influencer è una forma di media che nasce dal basso. Non ha un patentino, non fa un esame. Ma è legittimato dalle persone che lo leggono, dalla popolarità che arriva dalle persone che decidono di seguire quel profilo. E questa cosa capisco che possa dare fastidio, perché chiaramente i brand negli ultimi dieci anni hanno sempre di più allocato un budget pubblicitario su queste nuove forme di comunicazione online piuttosto che sulla carta stampata. Per alcuni giornalisti della vecchia guardia noi rappresentiamo una sorta di “minaccia”, ma per fortuna le cose stanno cambiando.
V. Cioè in quell’occasione ti sei sentito inizialmente sminuito ma poi hai trovato l’accezione positiva capendo che se si dà fastidio è perché si ha influenza. Adesso invece, di contro, vorrei che parlassi dell’episodio più bello che ricordi.
F. Ce ne sono veramente tanti. Quando ho intervistato Nino Cerruti che per me rappresenta la storia della moda in Italia vivente nel suo Lanificio di Biella. Un’esperienza comunque unica. Non rilascia naturalmente interviste con tanta facilità. Mi chiese il suo ufficio stampa di parlare con il signor Nino. Poi questo pezzo venne pubblicato su Fashion Illustrated che era una rivista per cui scrivevo. Quindi quella esperienza è stata molto bella. Un ricordo di una persona di un’ enorme cultura. E mi parlava di quando ha fatto il vestito ad Anita Ekberg, ha preparata il doppiopetto per Richard Gere in Pretty Woman. Pazzesco. Poi mi ha fatto piacere lavorare con Omega. Quando mi ha scritto l’ufficio stampa Omega perché io avevo degli Omega vintage degli anni 50 ereditati da mio nonno e postavo foto con questi pezzi. Un giorno mi scrisse un ufficio stampa, quattro anni fa, e da allora abbiamo iniziato una collaborazione. Oggi mi sento veramente parte di una famiglia. Abbiamo fatto tanti progetti insieme. E poi ci sono state tutte le belle persone che ho conosciuto fino ad oggi.
Se ci penso tramite i social conosco delle persone che sono diventate degli amici veramente stretti che però vivono dall’altra parte del mondo perché hanno scoperto il mio profilo e ci siamo scoperti a vicenda; professionalmente ci siamo piaciuti e siamo diventati molto amici perché abbiamo la stessa passione. Continua a leggere cliccando il pulsante in basso Avanti >
V.Raccontaci di una persona in particolare.
F. Ho un caro amico di New York con cui ci siamo sentiti su Instagram e poi siamo diventati così amici che lui è venuto a casa mia a Napoli e io sono stato da lui. Il nostro attuale distributore (si riferisce alla collezione di occhiali TBD Eyewear) in Thailandia. Una persona fantastica. I social hanno anche un lato positivo.
V. Quali sono i profili che ti piacciono di più?
F. Difficile dirlo. Per parlare di persone fisiche, c’è questo profilo coreano, che ha uno stile pazzesco e si chiama Chad Park, il titolare di B & Taylor. Poi è difficile dirti qualcuno in particolare. Alessandro Squarzi, che è un amico, e Luca Rubinacci. O i fratelli Guardì, fondatori di Barbanera… hanno tutti un gusto da cui prendere ispirazione.
V. Qual è il messaggio che ad oggi ti senti di comunicare con i tuoi post giornalieri. Tu prima raccontavi storie e ora stai puntando sui social. Molti potrebbero pensare che la tua pagina è commerciale.
F. Io sono un realista. Ti rispondo con le parole di Paul Smith che a Milano Unica nel 2017 ha detto che bisogna trovare un balance tra business e dream. Non bisogna mai perdere di credibilità e leadership ma nemmeno bisogna rimanere a sognare. Quando si fa business bisogna selezionare con attenzione i tuoi partner. La scelta del partner è cruciale per chi fa questo mestiere. Chi segue il profilo vede a chi ho detto sì ma non vede tutti i no che ho detto. Emblematica fu la mail di un marchio coreano che nel dicembre del 2014 in piena fase “artigianale” del blog, durante la quale io parlavo solo di sarti, mi scrisse l’ufficio stampa di New York offrendomi un viaggio pagato a Seoul per fare dieci scatti. Loro avevano una comunicazione e uno stile di tipo italiano. Volevano un giovane, per avere la faccia dell’italiano. E il budget per andare era 50 mila dollari e io dissi di no. Sono contento di aver detto no perché spero che proprio per questi no io adesso lavoro con altri marchi.
Quel brand non era in linea con la mia ricerca in quel momento. Io volevo parlare della storia della sartoria classica, le scuole italiane e tutte queste elucubrazioni mentali sulla sartoria che sono stato il mio pane e sono il mio pane, quello che mi ha permesso di distinguersi dalla massa. Fare foto per quel brand in quel momento non era coerente con la mia ricerca.
Le scelte che fai determinano ogni giorno il tuo futuro. Devi prendere decisioni ogni giorno Se hai dubbi è meglio evitare. Non sempre però si prende quella giusta.
La prima collaborazione importante per me è stata con Omega. Erano i primi anni che si cominciava a muovere qualcosa. E poi è accaduto tutto il resto. Non c’è mai stato un giorno uguale agli altri. Ho scritto un e-book, scrivevo per delle rivisite. Dopo aver scritto per GQ, avevo accumulato un vasto materiale sull’argomento dell’eleganza classica e un giorno ho deciso di sfruttarlo.
Ne è uscito fuori un e-book con cinque capitoli che è stato scaricato settemila volte, gratis, in cambio di una mail che è ancora disponibile e che tutt’oggi la gente scarica.
Tre anni fa nacque The Bespoke Dudes Eyewear, anche qui c’è un aneddoto. Io indossavo un paio di occhiali color miele di un brand napoletano, ed era il periodo in cui il blog faceva 50.000 visite al giorno e mi seguivano dalla Spagna, dall’Australia, dagli USA. E tutti mi chiedevano dove comprassi i miei occhiali. Un giorno ho incontrato il mio attuale socio, Andrea Viganò, che aveva fondato un e-commerce di prodotti artigianali italiani, e io lo aiutavo fotografando e parlando dei prodotti che lui vendeva sul sito. Siamo complementari. Io sono il lato creativo, lui gestisce il lato finanziario. Ognuno ha le sue aree di competenza ed è l’unico modo in cui una società può funzionare. Tre anni fa inizia questa storia, siamo andati da un artigiano in Cadore e fondato una società con 3.500€ a testa, i risparmi che avevo accumulato un po’ col blog e un po’ facendo il commesso in un negozio, una palestra molto utile. Siamo andati da un artigiano che ha accettato di commettere su di noi, prendendoci come clienti. Il primo ordine di TBD Eyewear è stato di dodici occhiali, che noi abbiamo messo in pre-ordine e abbiamo iniziato a vendere online. Con il pre-ordine abbiamo fatto partire la prima produzione e oggi la produzione è arrivata a 10.000 occhiali.
V. Come si passa da 12 occhiali a 10:000?
F. Sicuramente è servito molto la conoscenza del mio socio in fatto di logistica e finanziamenti e dall’altro lato la mia community. Non siamo andati in Cina a produrre 5000 occhiali a 3 dollari l’uno, ma da un Cavaliere del Lavoro che a 82 anni è ancora incaricato di raddrizzare le astine dei suoi occhiali a mano e non c’è un occhiale che esca dal suo laboratorio senza che lui abbia controllato. È il bello dell’artigianato. Poi il network di persone mi ha fatto trovare i primi buyer, tutte persone che avevo conosciuto fin dall’inizio. I nostri rapporti non erano iniziati commercialmente e già avevano fiducia in me. I miei occhiali sono andati alla Rinascente, a Seoul, a Palermo.
V. Chi ha indossato questi occhiali?
F. Da Filippo Magnini a Giorgia Palmas, da Stefano Accorsi a Cristina Chiabotto e Riccardo Pozzoli, che è un caro amico…. Continua a leggere cliccando il pulsante in basso Avanti >
V. Adesso vorrei parlare di lifestyle. Descrivi la tua quotidianità.
F. Non c’è. Non esiste la routine. Ogni giorno è diverso dall’altro. Se ho appuntamenti vado in ufficio oppure lavoro da casa. Quindici giorni al mese in media sono via. È un lavoro in cui ogni giorno prendi decisioni, parli con qualcuno e vedi cosa puoi creare con loro, qualcosa di interessante.
V. Tre luoghi del cuore a cui tieni particolarmente?
F. La terrazza dell’Hotel Le Foriere a Praiano, che è una cosa pazzesca. Riomaggiore nelle Cinque Terre. E la Corricella a Procida. Io sono un uomo di mare, ho imparato a trent’anni a sciare. Continua a leggere cliccando il pulsante in basso Avanti >
V. Gli indirizzi che raccomandi nelle principali città italiane?
F. A Roma, la Sartoria Habitus, fatta da quattro giovani che fanno abiti pazzeschi e mescolano la sartoria fiorentina con la napoletana. A Napoli, la sartoria Dalcuore e quella di Edoardo De Simone. Le cravatte di Francesco Marino a San Giorgio a Cremano. A Milano, le scarpe di Antonio Pio Mele, un pugliese che fa scarpe bespoke in una traversa di Via Torino.
V. Un messaggio che ti senti di dare ai giovani ragazzi. A volte sembra che il successo arrivi senza sforzo. Cantanti che non sono cantanti, influencer che non hanno mai nemmeno studiato.
F. Secondo me ognuno deve capire cosa vuole dalla vita. La mia felicità è diversa da quella degli altri. Bisogna capire cosa vi rende felici nella vita e farlo. A volte è un dono scoprire la propria passione. La mia è raccontare storie. Sono innamorato dell’Italia e della creatività italiana.
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