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Liquirizia Amarelli – “Pura” eccellenza di Calabria

Liquirizia Amarelli – Intervista a Fortunato, Margherita e Pina Amarelli

Secondo l’Enciclopedia Britannica la migliore liquirizia del mondo cresce in Calabria. La pianta è delicata ma le sue radici sono così lunghe e profonde da consolidare con la loro struttura, sponde e terreni argillosi.

In occasione del nostro #idressitaliantour abbiamo incontrato la famiglia Amarelli in un’intervista pura, come la loro liquirizia.

FORTUNATO AMARELLI

Signor Fortunato l’impressione che ho guardandomi intorno è di non essere in Calabria. Un tale ordine ed una precisione quasi maniacale. Come mai?

In realtà siamo in Calabria, vendiamo un prodotto che è assolutamente calabrese. La liquirizia nasce spontanea, selvatica, quasi esclusivamente in Calabria per l’Italia e poi nel Medioriente, in India ed in Cina; per una gran parte di tempo la Calabria ha rappresentato l’unica località di produzione della liquirizia. Immaginate la nostra azienda che ormai ha raggiunto 285 anni di vita, immaginate nel ‘700 quando il mercato globale era ridotto diciamo all’Europa che per un francese, per un tedesco, l’unica località da cui proveniva la liquirizia era la Calabria. Non esiste un posto più calabrese della fabbrica della liquirizia Amarelli. La famiglia è arrivata in Calabria nell’anno mille, dal 1731 si occupa anche di liquirizia e quindi ovviamente la nostra calabresità è oramai storicizzata e consolidata.

Lei di cosa si occupa nel dettaglio?

Sono l’amministratore delegato dell’azienda. Mi occupo ovviamente in generale un pò di tutto. In particolare mi occupo della parte più amministrativa, contabile, della parte di produzione essendo residente qui a Rossano. Mi occupo molto del museo della liquirizia, di tutto quello che riguarda questo parco tematico che ruota intorno all’azienda e che è uno dei nostri maggiori asset di mktg. In 16 anni di Museo della liquirizia abbiamo accolto circa 50mila visitatori l’anno. Attualmente è il secondo Museo d’Italia per numero di visitatori.

Ho delle immagini che appartengono al mio passato in Calabria dove gli uomini erano soliti avere una radice di liquirizia sempre in bocca. Immagini che ora non vedo più.

La tradizione calabrese, ai tempi più rurale, voleva che si raccogliesse la pianta di liquirizia che nasceva spontanea. La nostra società non è più questa. Questa è una pratica che io ho fatto da bambino! Si andava nei campi e si riconosceva la pianta ed il bambino sapeva che se scavava poteva raccogliere la radice e la radice aveva un succo dolce…

Qual è il vostro target?

Il target è un consumatore senior. Il cosiddetto consumatore evoluto, cioè il consumatore che ha fatto già un processo mentale per il quale ha compreso di essere un amante della liquirizia e va alla ricerca della migliore liquirizia. C’è una parte di consumatori che consapevoli della qualità e delle qualità della liquirizia sono degli estimatori; noi ci rivolgiamo a quella piccola nicchia di mercato. Il mondo oggi è rappresentato da circa un miliardo e mezzo di consumatori, cioè di persone che possono grazie alle loro capacità economiche acquistare beni e servizi. Se noi immaginiamo di rivolgerci anche solo all’1% di questo miliardo e mezzo le quote sono assolutamente interessanti.

Quello della liquirizia è il core business della Amarelli. Quali sono le altre attività?

Noi abbiamo un catalogo vasto in questo momento dove sono presenti prodotti food, no food, prodotti beverage e molta cioccolata. Tutto ruota intorno al food. Penso che la nostra non è stata una politica di differenziazione forte come potrebbe sembrare guardando il nostro catalogo, noi siamo rimasti molto legati al mondo della liquirizia più di quanto hanno fatto i nostri competitor. Negli anni ’80 i nostri maggiori competitor erano la Saila e la Menozzi De Rosa (es. Tabù, prodotti da Menozzi de Rosa e distribuite da Perfetti) i quali accorgendosi della marginalità bassa del mercato della liquirizia hanno abbandonato questo rapporto forte con la liquirizia. Soprattutto la Saila accorgendosi che la liquirizia aveva dei consumi marginali ha cominciato a produrre una serie di caramelle anche di gusti diversi, si è inserita in quel mondo dolciario perdendo quella che era negli anni ’80 la sua identità di produttrice di liquirizia. Noi abbiamo pensato di rimanere legati a questa identità sacrificando anche opportunità di vendita, questo però ha portato Amarelli a diventare oggi il riferimento quasi unico della liquirizia di un’intera categoria merceologica. Quando abbiamo realizzato il liquore alla liquirizia non lo abbiamo realizzato perché immaginavamo di realizzare un mercato del liquore, lo abbiamo realizzato per dare un esempio, una suggestione ai produttori di liquori che si poteva fare un liquore d’ un sapore diverso. Il liquore che adesso realizziamo lo realizza Strega Alberti con la nostra liquirizia. La stessa cosa avviene per esempio per Marvis. Quando diventi interprete d’una intera categoria merceologica, quando diventi il brand di riferimento chiunque realizza prodotti a base di liquirizia ha voglia di mettere il tuo marchio perché questo valorizza il suo prodotto.

Cos’è l’Amarelli oggi?

Quaranta dipendenti, uno showroom anche a Napoli. Impieghiamo circa sette persone nel museo della liquirizia; di questo siamo molto fieri perché in Italia purtroppo ci sono delle diseconomie gigantesche nel settore culturale. Questa incapacità di efficienza relativamente ai beni culturali, noi l’abbiamo interpretata in modo imprenditoriale ed il museo della liquirizia, che ha un fatturato di un milione di euro, è la rappresentazione vivente che può esistere una piccola impresa della cultura, cioè che attraverso il racconto tangibile della storia si possa fare una buona economia. Viviamo a 20 km da Sibari che è la più grande città della Magna Grecia, da Thurii dove ha vissuto Erodoto, considerato il padre della storia. A Crotone avevamo Pitagora. Nel futuro lontano penso che questo della storia sarà l’unico vantaggio competitivo con il quale l’Italia si confronterà nei mercati globali. Ci sarà un momento in cui i mercati emergenti avranno la capacità anche di qualificare il proprio brand per cui quello che distinguerà i prodotti italiani da quelli cinesi, giapponesi, americani sarà la capacità di raccontare veramente la nostra storia,  di raccontare che un vino prodotto a Cirò è veramente prodotto lì da 3000 anni; questo sarà il nostro vantaggio competitivo. Puntare sul patrimonio storico culturale è una sfida ancora più importante.

Un consiglio che lei si sente di dare a tutti quei giovani che sentendosi inadatti, vedendosi qui le proprie aspettative disattese, emigrano fuori dai confini regionali…

Noi non possiamo chiedere ai giovani di valore di restare in Calabria, sarebbe un attentato alla loro vita restare in una regione dove c’è il 58% di disoccupazione giovanile quando magari ci sono mercati emergenti che li accoglierebbero a braccia aperte perché sono ragazzi laureati, capaci, intelligenti. Non sono uno di quelli di “resta in Calabria tout court”. Qui ahimè resta la parte mediocre. Quello che dobbiamo chiedere alla classe dirigente attuale è di innestare in questi giovani il seme dell’impresa, dobbiamo far nascere nei giovani calabresi la voglia di fare impresa dimostrando che in Calabria l’impresa si può fare. Oggi i giovani sono facilitati perché la dematerializzazione della gran parte dei prodotti non richiede investimenti in avviamento e contesti infrastrutturali di un certo livello Adesso posso vendere dalla Calabria in tutto il mondo grazie ad internet. In Calabria abbiamo grandi opportunità se pensiamo al mondo digitale, abbiamo tante possibilità. Le infrastrutture spesso sono alibi per non farti fare impresa, chi è stato bravo lo è stato in situazioni ben peggiori di quelle in cui versiamo noi oggi. Scopri l’intervista a Margherita Amarelli cliccando Avanti >

MARGHERITA AMARELLI

Liquirizia Amarelli – Con Margherita Amarelli

Abbiamo cercato di rinnovare perché il marchio era molto bello, già conosciuto, però con due pecche. La prima è che il marchio non era così affermato a livello internazionale e l’altra è che temevamo  che il marchio fosse  un po’ polveroso, come quelle cose “ah bello, della nonna” però sta lì e quindi l’idea era quella di dare una nuova ventata di innovazione proiettata verso il futuro. Così abbiamo preso 26 mercati, eravamo partiti con 4 o 5, legandoci poi in partnership con alcune aziende forti che hanno distribuito il nostro prodotto in giro per il mondo.

Qual è il suo ruolo?

Io sono una dei soci. Siamo in dieci, di cui quattro nel direttivo e operativo e di questi quattro due siamo io e mio fratello. Fortunato ha scelto sempre la parte amministrativa e delle risorse, io ho preso la parte del mktg e del commerciale. Pina, nostra zia è rimasta alle pubbliche relazioni ed il quarto socio che è Franco è quello che ha costruito, ha realizzato l’idea del museo. Oggi siamo questi quattro elementi, due senior e due tra virgolette Junior ma solo perché siamo più piccoli di età 🙂

Io sono nata qui, poi sono partita, mi sono laureata a Firenze, sono rimasta fuori tra Firenze e Roma. Quando ho iniziato a lavorare per l’azienda ho stabilito l’ufficio commerciale a Roma perché da Rossano era molto complicato riuscire a gestire la clientela, i grossi clienti e poi c’era tutto l’estero da fare, da avviare. Quindi a Rossano non era possibile ma anche perché una persona che si occupa di mktg deve stare in giro, deve vedere quello che c’è fuori. La sede doveva rimanere qua, però alcuni elementi soprattutto della famiglia che avrebbero dovuto ricoprire dei ruoli importanti, avrebbero dovuto spostarsi da Rossano. Girare, conoscere, frequentare, avere delle relazioni sia in Italia che all’Estero. La sfida dell’estero è partita così. Abbiamo adattato la comunicazione, il modo di fare business senza mai cambiare il prodotto. L’idea un pò folle è che in qualunque posto ci si trovi all’interno di una lattina rossa Amarelli ci sia sempre lo stesso prodotto, la nostra vera liquirizia di Calabria. Scopri l’intervista a Pina Amarelli cliccando Avanti >

PINA AMARELLI

Liquirizia Amarelli – Pina Amarelli

Cosa significa essere stata ambasciatrice della Calabria all’Expo? Se vogliamo ambasciatrice della buona impresa in Calabria.

Il senso dell’Expo era, più che parlare di imprese commerciali,  di parlare delle capacità del nostro Paese di rappresentare l’eccellenza, salvaguardare il made in Italy e la creatività italiana. Il genio italiano. Noi ad esempio abbiamo un prodotto che nasce in Calabria ed è il migliore del mondo. Cerchiamo di fare nostro il senso del genio e dell’arte di vivere italiano.  Di una qualità di vita altissima. Il discorso era complesso all’Expo, è stato importantissimo avere questo ruolo di ambasciatori di una cultura a 360°.

Come è cambiata la Amarelli in questi anni? 

Molto. Bisogna sempre conoscere da dove si proviene per poi dare un giudizio su quello che si è. Per chi come noi ha vissuto una serie di periodi completamente diversi cerchiamo di raccontare attraverso la storia di un prodotto quella che è stata la storia di un territorio che non è solo la storia di Amarelli. Quando si cercava di ricostruire il Paese, nel secondo dopoguerra, si era molto più attenti al risparmio, all’attenzione delle risorse (dal cibo, all’abito) è in questo periodo che l’Italia ha dimostrato la sua genialità: negli anni ‘60 si è capito che razionalizzando l’agricoltura attraverso la riforma agraria e sviluppando l’industria leggera si poteva divenire leader nella produzione di elettrodomestici, macchinari; un’industria meccanica e sostenibile.

Un’azienda come la nostra veniva sì dal 1700 fino agli anni ’40 era rimasta essenzialmente la stessa, il mercato veniva seguito più che aggredito. Quando negli anni ’60 ci si rende conto che o si chiude (come fecero in tanti) o si cambia passo, nel cambiare passo bisognava aprirsi alla tecnologia. Negli anni ’60 si decide di fare un investimento di capitale proprio, si passa all’acquisto di macchinari leggeri, sofisticati, di acciaio inossidabile, rientrano i computer: macchine Olivetti!  Negli anni 30 il padre di mio suocero morì e lasciò la proprietà agricola – la più importante – a una sorella non sposata che, quando morì, la destinò non ai nipoti – mio suocero e i suoi due fratelli, ma ai loro figli nascituri maschi, giocandosi il futuro dell’azienda. Negli anni 90, alla morte di mio suocero abbiamo dovuto interpellare il Ministero delle Finanze: settant’anni senza successioni erano tanti. Tra gli eredi vi erano mio marito e il papà di Fortunato, per cui cominciammo subito a pensare alla nuova amministrazione. All’epoca io ero avvocato a Napoli, ero assistente all’università, facevo tutt’altro. Quando l’opera di ristrutturazione era completata e si aprivano nuove frontiere del marketing da giornalista pubblicista, ho capito che gli investimenti importanti erano due: produzione e commercializzazione ma era necessaria anche la comunicazione per completare il tutto. Ci inventammo le scatolette di latta che erano state prodotte all’inizio del ‘900 e che poi non si erano più prodotte. Ho iniziato a fotografare le vecchie etichette dagli archivi. Sono proprio un po’ l’emblema del nostro successo, ne vendiamo milioni all’anno.

Cosa rappresenta per lei la Calabria?

Per me rappresenta innanzitutto una fonte di interesse. Quando sono arrivata qua nel 1969 ho trovato un paese che dire arretrato è dire poco, abituata a vivere a Napoli, ma anche Firenze, Monopoli, Bari; erano tutte città di un altro livello come atteggiamento culturale specie per quanto riguarda la figura femminile. Le donne non erano impegnate nel lavoro, uscivano per andare a fare le visite nelle case, o per andare alla Messa. In 50 anni la Calabria è veramente cambiata. Mi sono approcciata a questa realtà con molta curiosità, poiché era una realtà assolutamente nuova, incuriosita soprattutto dalla storia di famiglia. Ho fatto un po’ di ricerche e siamo arrivati ad avere un archivio che attualmente è di interesse storico-nazionale. Posso dire che ne è valsa la pena.  Il primo che arriva qui ne prende i frutti miglior. Qui ci sono solo le radici forti, ideali e metaforiche.

Nelle parole di Fortunato c’è un passaggio che mi ha colpito in particolare. Recita così: “Nelle nostre scatoline che viaggiano per il mondo c’è impresso il nome Rossano –  Calabria; questa a nostro avviso è la più bella forma di promozione turistica che si possa fare alla nostra regione”

Grazie Fortunato, grazie Margherita e grazie signora Pina.

Vincenzo Girasoli

Scopri anche l’intervista a Pippo Callipo, “il re del tonno di calabria” cliccando qui

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Fotografia: Lucia Franco

Scritto da Vincenzo Girasoli

Una vita ad immaginare e costruire un futuro che non è mai stato così chiaro e limpido. Fatto di emozioni inesauribili alla vista dei colori che questo mio Paese sa ogni giorno regalarmi. Ho viaggiato, senza mai stancarmi, per poi fermarmi dinanzi al blu del mio Mediterraneo. Lì capire che qualcosa di grande e profondo, intenso e meraviglioso, stava accadendomi; e che non mi sarei mai più fermato. Tuffandomi in quel mare sapevo che non avrei più potuto tornare indietro. Al contempo sapevo che i brividi che mi percorrevano sarebbero stati i vostri. E che insieme avremmo corso sempre più veloce verso qualcosa di puro, autentico, genuino, felice. Qualcosa che con orgoglio chiamo Idressitalian.

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