V. Nel momento in cui ti laurei nel 2013, sai già qual è la tua strada. Era passato un anno da quando avevi aperto il sito.
F. Sì. E io lì ho rischiato, perché per i primi tre anni il progetto non è stato assolutamente profittevole. E se non avessi avuto veramente una passione questa cosa sarebbe svanita. Invece di mettermi a fare il praticante infelice in uno studio ho preferito dedicarmi totalmente anima e corpo a questo progetto che poi cominciò a diventare profittevole.
V. Vorrei soffermarmi su quello che hai appena detto, su questi due-tre anni di non redditività. Vorrei raccontasse un momento di sconforto e come ne sei venuto fuori.
F. Ce ne sono stati tanti. Uno emblematico è una cena, una cena stampa di un brand. Questo aneddoto ha a che fare con il fastidio che la figura dell’ influencer provoca nei giornalisti editori della carta stampata classica. Eravamo ospiti di questo marchio in una cena. Io ero l’unico non-giornalista. Ma c’erano giornalisti da Monsieur, Francia Vogue, GQ Russia. C’era anche un giornalista italiano di una celebre rivista italiana. Quando iniziarono le presentazioni c’era il responsabile del brand che disse che ero un blogger. Il giornalista disse in inglese: “I hate bloggers. Perchè voi blogger create solo confusione nel mercato”. Poi lì ho capito che era un buon segno. Si stava muovendo qualcosa. Perché la figura dell’influencer è una forma di media che nasce dal basso. Non ha un patentino, non fa un esame. Ma è legittimato dalle persone che lo leggono, dalla popolarità che arriva dalle persone che decidono di seguire quel profilo. E questa cosa capisco che possa dare fastidio, perché chiaramente i brand negli ultimi dieci anni hanno sempre di più allocato un budget pubblicitario su queste nuove forme di comunicazione online piuttosto che sulla carta stampata. Per alcuni giornalisti della vecchia guardia noi rappresentiamo una sorta di “minaccia”, ma per fortuna le cose stanno cambiando.
V. Cioè in quell’occasione ti sei sentito inizialmente sminuito ma poi hai trovato l’accezione positiva capendo che se si dà fastidio è perché si ha influenza. Adesso invece, di contro, vorrei che parlassi dell’episodio più bello che ricordi.
F. Ce ne sono veramente tanti. Quando ho intervistato Nino Cerruti che per me rappresenta la storia della moda in Italia vivente nel suo Lanificio di Biella. Un’esperienza comunque unica. Non rilascia naturalmente interviste con tanta facilità. Mi chiese il suo ufficio stampa di parlare con il signor Nino. Poi questo pezzo venne pubblicato su Fashion Illustrated che era una rivista per cui scrivevo. Quindi quella esperienza è stata molto bella. Un ricordo di una persona di un’ enorme cultura. E mi parlava di quando ha fatto il vestito ad Anita Ekberg, ha preparata il doppiopetto per Richard Gere in Pretty Woman. Pazzesco. Poi mi ha fatto piacere lavorare con Omega. Quando mi ha scritto l’ufficio stampa Omega perché io avevo degli Omega vintage degli anni 50 ereditati da mio nonno e postavo foto con questi pezzi. Un giorno mi scrisse un ufficio stampa, quattro anni fa, e da allora abbiamo iniziato una collaborazione. Oggi mi sento veramente parte di una famiglia. Abbiamo fatto tanti progetti insieme. E poi ci sono state tutte le belle persone che ho conosciuto fino ad oggi.
Se ci penso tramite i social conosco delle persone che sono diventate degli amici veramente stretti che però vivono dall’altra parte del mondo perché hanno scoperto il mio profilo e ci siamo scoperti a vicenda; professionalmente ci siamo piaciuti e siamo diventati molto amici perché abbiamo la stessa passione. Continua a leggere cliccando il pulsante in basso Avanti >